Carlo del Prete

Chiunque arrivi a Lucca con l’autostrada non può non notare il velivolo che sosta, in posa, proprio dopo il casello, all’inizio del viale che conduce diretti alle mura urbane.

Tanti, troppi a mio avviso, hanno una percezione distorta di quell’aereo. C’è chi trova quel velivolo un “simbolo di guerra”, chi lo vede semplicemente “brutto”, chi lo trova “inutile”. Eppure, se solo si avesse l’educazione mentale di porsi una domanda prima di sparare un giudizio, forse queste persone avrebbero modo di ricredersi. Sì, perché quell’aereo (un Piaggio- Douglas PD-808 donato dall’ Aeronautica Militare Italiana), è il monumento che la città di Lucca ha voluto dedicare all’ Illustre pilota Carlo Del Prete con questa frase: “Al pilota Carlo del Prete e gli aviatori lucchesi”.

E chi era Carlo Del Prete?

Nato a Lucca nel 1897 da una famiglia assai influente nel panorama cittadino (il padre fu anche sindaco di Lucca), Carlo Del Prete fu una figura di spicco dell’aviazione italiana. Giovanissimo, a 15 anni si iscrisse alla Regia Accademia Navale di Livorno. La sua carriera militare lo portò in brevissimo tempo ad essere presente in diverse campagne di guerra e per le sue doti salì rapidamente i gradi di comando arrivando ad essere promosso, nel 1918 a Tenente di Vascello. In quegli anni frequentò il corso di laurea in elettrotecnica presso il Politecnico di Torino e contemporaneamente frequentò il corso di piloti a Taranto. Tra il 1922 ed il 1923 otteneva, a pieni voti, il brevetto di Pilota e la Laurea. Da questo momento in poi parte la brillante carriera aeronautica di Carlo Del Prete.

Fa quasi sorridere pensare che stiamo parlando di un “ragazzo” di 25 anni.

Cito, per comodità, wikipedia per un sunto delle sue imprese:

Passò poi in servizio presso la neocostituita Regia Aeronautica, assunse il comando dell’idroscalo di Sesto Calende,[4] rivelando, oltre a non comuni doti di pilota, indubbie capacità organizzative. Per questo venne scelto da Francesco De Pinedo nel 1927, come ufficiale di rotta e secondo pilota nella trasvolata Atlantica dall’Europa alle due Americhe (13 febbraio-16 giugno 1927) dove, assieme al motorista Vitale Zacchetti, volarono su tre continenti, Africa, America del Sud, America del Nord, attraversando due volte l’Atlantico. La trasvolata ebbe inizio il 13 febbraio 1927 a Elmas (Cagliari) e terminò il 16 giugno a Lido di Ostia (Roma) dopo 43.820 km di volo per complessive 279 ore e 40 minuti. A bordo del velivolo, un idrovolante Savoia-Marchetti S.55 denominato “Santa Maria”, il suo compito principale consisteva nel compiere osservazioni astronomiche per il mantenimento e la pianificazione della rotta e nell’accertarsi che il consumo del carburante fosse regolare e distribuito dai vari serbatoi allo scopo di mantenere il più possibile equilibrato l’apparecchio. Il percorso si svolse da Elmas alle Isole di Capo Verde, su Buenos Aires e infine raggiunse l’Arizona. Il 6 aprile, mentre effettuava il rifornimento sul Lago Roosevelt di Salt River (Arizona) l’aereo prese fuoco e s’inabissò in pochi minuti. Il completamento del raid fu reso possibile grazie all’invio, per via marittima da Genova a New York, di un altro idrovolante Savoia Marchetti S.55, ribattezzato “Santa Maria II”. Il viaggio di ritorno, ricongiungendosi al tragitto iniziale a New Orleans, toccò Memphis, Chicago, alcune località in Canada, Terranova, le isole Azzorre, Lisbona, Barcellona con arrivo finale al Lido di Ostia a Roma ricevuto da Mussolini.

 

Nel 1928, promosso maggiore, si aggiudicò, in coppia con Arturo Ferrarin, il record mondiale di durata e di distanza in circuito chiuso a bordo del monoplano Savoia-Marchetti S.64. Dopo un’interminabile serie di prove e controlli, la mattina del 31 maggio 1928, prendeva avvio la prima avventura: il record del mondo su circuito chiuso. L’aereo, condotto da Ferrarin e Del Prete percorse per 51 volte il circuito compreso tra Torre Flavia ed il faro di Anzio, distanti poco più di 74 km, atterrando alle 15,30 del 2 giugno dopo aver percorso un totale di 7 666,616 km in un tempo di 58 h e 37 minuti. Tale prestazione superava di quasi 5 ore il precedente primato di durata e di 3.000 km quello di distanza. Questa prima impresa costituiva però il banco di prova per il principale obiettivo del progetto: il volo dall’Italia al Brasile, per aggiudicarsi il record mondiale di volo in linea retta.

 

La macchina organizzativa si mise in moto fin dal giorno successivo, in quanto si voleva realizzare la trasvolata atlantica nei primi giorni di luglio, al fine di sfruttare la fase di luna piena prevista per quei giorni durante le ore notturne del volo. Ed è così, che appena un mese dopo stabilì, sempre in coppia con il Ferrarin, il record mondiale di distanza in linea retta, volando senza scalo da Monte Celio (Roma) a Port Natal in Brasile con il monoplano Savoia-Marchetti S.64, partiti il 3 luglio, raggiunsero l’obiettivo il 5 dello stesso mese, dopo aver percorso 7.450 km in 44 ore e 9 minuti ad una velocità media di 168 km/h.[4] La sera del 3 luglio 1928, alle ore 18:51, prese il via la delicata fase di decollo: appesantito dal carburante necessario per il tragitto, il S.64 aveva una velocità di salita di soli 0,25 metri al secondo, alla velocità di 180 km/h. In pratica erano necessari 3 km per raggiungere la quota di 15 metri. L’orario di partenza venne scelto al fine di raggiungere sia Gibilterra che, il giorno successivo, il Brasile con le luci del giorno. Il volo si presentò difficoltoso fin dalla prima notte quando, a causa di caldi venti africani, il rendimento del motore diminuì sensibilmente ed i due piloti decisero di modificare la rotta verso nord, alla ricerca di temperature meno elevate. Attraversando condizioni di cielo mutevole e variando di quota alla ricerca di correnti di coda, i due aviatori si accinsero a trascorrere la seconda notte in volo entrando nella fascia dei temporali equatoriali, decidendo di salire fino a 4 000 m di quota nel, vano, tentativo di risparmiare, al velivolo ed a sé stessi, le sollecitazioni della burrasca. Il sopraggiungere del mattino (è il 5 luglio) e l’avvistamento della costa brasiliana diedero conferma della precisione dei difficili calcoli notturni per il mantenimento della rotta e trasmisero nuovo vigore all’equipaggio che puntò deciso in direzione di Bahia. Ancora il maltempo procurò l’ennesimo imprevisto e, stimando un residuo di carburante poco rassicurante, i due decisero di tornare sui propri passi per dirigersi verso Port Natal, dove contavano di atterrare sul campo di volo della Latécoère. Sempre più preoccupati della riserva di carburante ed ostacolati dalla scarsa visibilità, giunti a breve distanza dalla nuova meta, Ferrarin e Del Prete decisero di atterrare sulla spiaggia dove, dopo un breve rullaggio, le ruote del S.64 affondarono nella sabbia. L’aereo riportò danni al carrello ed alla cabina di pilotaggio e nei serbatoi erano rimasti soltanto 15 litri di carburante. Nella pratica erano stati coperti circa 8.100 km, ma il record venne omologato in base alla distanza ortodromica tra Montecelio e Natal.

 

Portata a termine l’impresa, i due aviatori avevano programmato di compiere un giro delle città del Brasile, anche a scopi propagandistici, ma i festeggiamenti ebbero un tragico epilogo. Il terzo giorno, l’8 luglio, la loro crociera itinerante fu tragicamente troncata da un incidente nell’isola di Governador durante le prove per un volo dimostrativo su un nuovo tipo di idrovolante da ricognizione Savoia-Marchetti S.62, velivolo che l’industria Savoia-Marchetti non riusciva a piazzare in Brasile, e allora l’idea, diremmo oggi di marketing, di sfruttare l’eccezionale notorietà dei due trasvolatori per rimontare in fretta il velivolo e farlo volare pilotato dai due piloti per cercare di “spingere” le vendite. A seguito di un cedimento dell’ala del velivolo cadde rovinosamente in acqua. Ferrarin ebbe soltanto lievi ferite alla testa, mentre lui riportò la frattura di entrambe le gambe e del femore, per cui fu necessario amputargli la gamba destra nel doloroso tentativo di fermare l’infezione. Le sue condizioni peggiorarono progressivamente fino a che, il 16 agosto 1928, a Rio de Janeiro, sopravvenne la morte per sfinimento”.

Siamo nel periodo d’oro dell’aviazione. Un’aviazione che non vede piloti, ma veri e propri “pionieri” del cielo. Uomini dotati di un grande coraggio se si pensa anche al livello “primitivo” della tecnica aeronautica. Nessun supporto esterno al pilota. Solo il pieno affidamento alle proprie capacità di volo.

Con Regio Decreto del 13 Settembre 1928 gli veniva conferita la Medaglia d’oro al valore Aeronautico con questa motivazione: “Tre volte transvolatore dell’Oceano Atlantico portava l’ala d’Italia a mete non ancora raggiunte”

E la numismatica cosa c’entra con tutto questo? C’entra sempre, ed oggi c’entra anche perché, in senso forzato, siamo come Studio Numismatico, fisicamente “vicini” a Carlo del Prete. Infatti il nostro studio si trova nella piazza che, durante il fascismo, fu intitolata proprio a Carlo Del Prete (per poi tornare ad essere Piazza san Pietro Somaldi). Piazza in cui da sfoggio di sé una bellissima lapide posta sul palazzo che fu la sua casa natale. E poi… e poi siamo orgogliosi di poter condividere con voi una rarissima Medaglia in Bronzo che i Lucchesi residenti a San Paolo (Brasile) dedicarono all’aviatore che qui descriviamo:

D/ nel giro: I LVCCHESI RESIDENTI A S. PAOLO = BRASILE ; nel campo: AL // CAPITANO // CARLO // DEL PRETE // MCMXXVII ; in esergo: il fascio littorio con gli stemmi della città di Lucca (libertas a sinistra, la pantera a destra)

R/ figura allegorica del volo sopra il mare: uomo aggrappato ad aquila con il braccio sinistro e che tiene, con la mano destra, la bandiera del regno d’Italia. Firme di Petroni (scultore) e Barlacchi (incisore)

Metallo : Bronzo

Diametro: 56mm

Peso: gr. 62,34

Un messaggio ai più giovani: quando camminate siate vigili con lo sguardo. Scorgerete sempre un monumento, una lapide commemorativa: avvicinatevi, leggete e cercate di capire un modo che sembra sempre tanto lontano, ma non lo è di fatto.\ Sarà il modo, educato e cortese, di mantenere vivo il ricordo di personaggi che, volenti o nolenti, hanno tracciato le linee della Storia.